I rimedi contro la siccità del canale di Panama

La logistica internazionale è sotto stress. Lo stretto di Bab el-Mandeb, che conduce al mar Rosso e da lì al canale di Suez, è di fatto inaccessibile a causa degli attacchi degli houthi alle navi portacontainer. Agli spedizionieri che non vogliono correre il rischio di navigare in quelle cattive acque non rimane che circumnavigare il capo di Buona Speranza, rinunciando alla via più breve tra Asia ed Europa che in tempi normali gestisce il 15 per cento di tutto il traffico merci marittimo. Ma l’industria dello shipping non deve fare i conti soltanto con la crisi attorno a Suez: anche la seconda linea di navigazione artificiale più trafficata al mondo – il canale di Panama, in America centrale – è bloccata, o quasi. Dallo scorso novembre il volume del commercio passante per questa strettoia tra gli oceani Atlantico e Pacifico è diminuito del 30 per cento, ha scritto l’Economist. Non c’entrano i missili e i droni, stavolta; la colpa è della siccità.
Anche se non è stagione secca – al contrario, il periodo delle piogge avrebbe dovuto concludersi da poco – le acque del canale di Panama sono comunque basse, quasi due metri in meno del normale, al punto che la vegetazione svetta sopra la linea di galleggiamento anziché essere sommersa, hanno raccontato gli inviati di Bloomberg. Una foresta di tronchi d’albero affiorata alla superficie del lago Gatún, inondato nel 1913 per creare il canale, sta ostacolando il passaggio delle imbarcazioni. Le autorità hanno dovuto limitare gli attraversamenti a non più di ventiquattro al giorno, ben al di sotto della capacità giornaliera tipica (trentotto), rimettendoci denaro. Le tasse di transito sono infatti la maggiore fonte di entrate per la Repubblica di Panama. Ma il danno è anche per gli armatori e per i consumatori perché il canale gestisce il 3 per cento del commercio marittimo mondiale e circa la metà dei container che si muovono tra la costa est degli Stati Uniti e l’Asia nordorientale. Alle navi, dunque, non resta che attendere in fila il loro turno oppure cambiare rotta, allungando i tempi e alzando i costi di trasporto. Potrebbe volerci un anno per tornare alla normalità, e anzi la situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente con l’approssimarsi della stagione secca.
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