Europa e America hanno un problema con la «sovraccapacità» della Cina

La segretaria del Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, è in Cina – si tratta della seconda visita da quando ha assunto l’incarico – per incontrare il governo e discutere della «sovraccapacità» dell’industria verde cinese. È una parola, sovraccapacità, che compare spesso nel lessico dell’amministrazione di Joe Biden: di solito sta a indicare il surplus manifatturiero di acciaio, ma in questo caso si riferisce all’eccesso di pannelli solari, batterie al litio e veicoli elettrici. Che la Casa Bianca parli di prodotti siderurgici o di “tecnologie pulite”, comunque, il responsabile di questa overcapacity che inonda i mercati globali, fa crollare i prezzi e impedisce la concorrenza è sempre lo stesso: la Cina.
È molto improbabile che il viaggio di Yellen si concluda con un accordo risolutivo delle controversie commerciali: sia perché le tensioni generali tra Washington e Pechino sono fortissime, sia perché la precedente visita della segretaria non aveva prodotto granché e sia perché la funzione di questi incontri è mantenere aperti i canali di comunicazione, prima ancora che realizzare grosse svolte. Ma soprattutto perché mancano le basi per un dialogo fruttuoso. America e Cina sono ferme su posizioni inconciliabili. Yellen accusa Pechino di trattare l’economia mondiale come un luogo di scarico per le sue merci; l’ambasciata cinese risponde che non c’è alcun eccessivo produttivo. L’amministrazione Biden sostiene che la sovraccapacità cinese ostacola i piani di reindustrializzazione green; il Partito comunista ha messo le cosiddette «nuove forze produttive» (fotovoltaico, stoccaggio, mobilità elettrica e non solo) al centro della ripresa economica e non intende frenarle.
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