Cosa serve per rilanciare l’idroelettrico in Italia

Al settore idrico e a quello idroelettrico servirebbero investimenti da 48 miliardi di euro in dieci anni per svilupparsi e restituire maggiori benefici ai territori e al sistema energetico nazionale. Lo dice uno studio realizzato da The European House – Ambrosetti e da A2A, una delle principali società italiane attive nella produzione di energia elettrica dalle masse d’acqua. Solo la regione Calabria – una delle più importanti del sud Italia per potenza idroelettrica installata, anche se i bacini e gli impianti si concentrano a nord – avrebbe bisogno di 800 milioni in un decennio.
A livello sistemico, gli investimenti andrebbero concentrati nel repowering delle centrali esistenti (ovvero nel loro ripotenziamento tramite la sostituzione dei componenti e l’aumento dell’efficienza), nella costruzione di impianti di piccola taglia, nella realizzazione di nuovi bacini e di nuovi pompaggi (gli impianti di accumulo). Ma le grandi aziende, come A2A e non solo, sono generalmente restie a procedere: colpa, a loro dire, della breve durata delle concessioni che non permette di rientrare delle spese per l’ammodernamento delle centrali e delle infrastrutture associate. Nel nostro paese le concessioni durano in media venti-trent’anni, ma in alcuni casi si scende a quindici. Nella vicina Austria, per fare un paragone, arrivano a novant’anni; in Francia durano quarant’anni, in Spagna anche settantacinque.
Le oltre 4700 centrali idroelettriche italiane producono energia rinnovabile, modulabile e a zero emissioni, e possono anche svolgere un ruolo di stoccaggio stagionale (anziché di breve durata come le batterie) attraverso il pompaggio: la loro buona salute, insomma, dovrebbe essere una priorità, visti gli obiettivi di transizione ecologica e di sicurezza energetica.
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