L’energia solare nello spazio non è fantascienza

L’Agenzia internazionale dell’energia lo ripete da anni: il solare sarà il nuovo re dell’elettricità. Il tempo le sta dando ragione. Nel 2022 la generazione fotovoltaica globale è cresciuta a un tasso record del 26 per cento, il più alto fra tutte le fonti rinnovabili. E secondo le previsioni dell’organizzazione, prossimamente il solare supererà l’eolico e l’idroelettrico per detronizzare, infine, entro il 2027, anche il carbone.
L’espansione del fotovoltaico è favorita dalla facilità di collocazione dei pannelli – rispetto, per esempio, a turbine alte decine di metri – e dall’abbondanza della fonte primaria, il Sole. Ma la tecnologia non è priva di difetti: i parchi solari consumano tanto suolo e sono dipendenti dalla visibilità e dalla posizione del Sole in cielo; di notte, quando è nuvoloso e durante l’inverno possono non produrre abbastanza o affatto.
Un modo per risolvere questi inconvenienti ci sarebbe: se i pannelli venissero posizionati nello spazio, sarebbero perennemente esposti al Sole – per il 99 per cento del tempo, per la precisione – e potrebbero produrre energia senza interruzione, come le centrali nucleari e a gas.
L’idea, più nel dettaglio, consiste nello spedire dispositivi fotovoltaici in orbita, a circa 36.000 chilometri sopra la Terra, in modo che possano produrre energia in maniera continuativa e stabile. L’energia raccolta verrebbe poi inviata alla superficie terrestre attraverso un fascio di microonde – è la soluzione che permette di minimizzare le perdite nel trasferimento – e convertita in elettricità dalla stazione ricevente.
Lo space-based solar power sembra fantascienza, ma non lo è.
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