L’oceano è la nuova frontiera dei metalli per le batterie

Per ragioni di salvaguardia della filiera e di sostenibilità del prodotto finito, agli Stati Uniti converrebbe rifornirsi di materie prime per le batterie delle auto elettriche (litio, nichel e cobalto, ad esempio) da giacimenti vicini al territorio nazionale, se non addirittura interni. Oltre infatti a ridurre l’esposizione a governi ostili che potrebbero limitare le forniture per ragioni politiche – è il rischio corso con la Cina, la grande rivale d’America che domina le supply chain di questi metalli –, un deposito minerario vicino agli stabilimenti manifatturieri permetterebbe di risparmiare le emissioni del trasporto a lunga percorrenza.
Una filiera corta, insomma, fa bene sia alla sicurezza nazionale che al clima.
Gli Stati Uniti vorrebbero in effetti aprire delle miniere di metalli per la transizione energetica in patria, ma è difficile mettere d’accordo le tante voci contrarie: ci sono gli attivisti preoccupati per l’ambiente, le comunità spaventate dall’impatto sulla salute e sul paesaggio, gli agricoltori che temono di rimanere senz’acqua per i campi e il bestiame, i nativi americani che non vogliono veder profanate le loro terre sacre.
In una democrazia, l’interesse strategico non può passare sopra tutto questo. Ci sarebbe però un luogo abbastanza vicino, lontano dalla popolazione e invisibile alla vista, dunque teoricamente perfetto: il fondale dell’oceano Pacifico.
A circa 1700 chilometri a sud-ovest dalla costa messicana di Manzanillo – più o meno la distanza tra New York e Memphis, o tra Roma e Varsavia – si trovano le zone di frattura di Clarion e di Clipperton. In quest’area compresa tra il Messico centrale e le Hawaii la compagnia mineraria canadese The Metals Company punta a estrarre svariate tonnellate di rocce contenenti nichel, manganese, cobalto e rame. Una volta trasformate in batterie potranno alimentare 280 milioni di auto elettriche, vale a dire l’intero parco circolante oggi negli Stati Uniti.
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