L’ex-ILVA può produrre acciaio verde?

Nei giorni scorsi il governo ha presentato, assieme a un finanziamento da 150 milioni di euro, il nuovo piano industriale di Acciaierie d’Italia, la società siderurgica in amministrazione straordinaria che gestisce lo stabilimento ex-ILVA di Taranto. Il piano, da sottoporre alle autorità europee per ottenere lo sblocco di un prestito da 320 milioni, serve a impedire la chiusura del sito e a rilanciarne la produzione, prevedendo un output di sei milioni di tonnellate di acciaio al 2026 attraverso gli attuali altiforni a carbone.
L’ex-ILVA, però, non va solo rimessa sul mercato ma anche allineata agli obiettivi sul clima: è necessario dunque che l’attività siderurgica, classificata tra i processi ad alta intensità energetica e a difficile decarbonizzazione, riduca le sue emissioni di gas serra. Queste emissioni provengono dall’utilizzo del carbone sia come ingrediente per il coke (il risultato del riscaldamento del carbone che funge da materia prima per gli altiforni) e sia come combustibile per la fusione del minerale ferroso. Oggi il settore dell’acciaio vale circa il 7 per cento delle emissioni globali di CO2 – più del trasporto aereo e marittimo messi insieme – e si prevede che la domanda di questa lega crescerà del 20 per cento entro il 2050, stimolata dalla costruzione di edifici e infrastrutture. Ma c’è acciaio anche nelle turbine eoliche e nei veicoli elettrici, dispositivi essenziali per la transizione ecologica.
Il piano industriale di Acciaierie d’Italia prevede allora la costruzione di due forni elettrici nel sito di Taranto, in sostituzione di altrettanti altiforni: i lavori dovrebbero cominciare l’anno prossimo e concludersi nella seconda metà del 2027, garantendo una produzione di quattro milioni di tonnellate.
I forni elettrici ad arco non utilizzano il coke e sono perciò considerati un’alternativa più “sostenibile”, anche perché producono acciaio a partire dai rottami, permettendo così di risparmiare le emissioni legate alla lavorazione del ferro; se l’elettricità fornita a questi forni viene generata da fonti pulite, come le rinnovabili o il nucleare, il risparmio emissivo è ancora maggiore.
Il problema è che l’acciaio prodotto dai rottami mantiene delle impurità ed è quindi meno qualitativo di quello da altoforno: di conseguenza, potrebbe non essere adatto a tutti gli utilizzi (alle parti esterne delle automobili, per esempio).
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