Cosa fanno le startup italiane di idrogeno

Marco Dell'Aguzzo
2 min readJan 15, 2023
(Imagoeconomica)

L’Italia è il quinto paese dell’Unione europea per numero di brevetti legati all’idrogeno, un combustile pulito dalle grandi potenzialità: lo si può ricavare dall’energia rinnovabile, non rilascia anidride carbonica quando viene bruciato ed è in grado di sostituire il petrolio e il gas naturale in tutte quelle applicazioni – negli stabilimenti chimici, nelle acciaierie, nei trasporti pesanti non elettrificabili – sprovviste di alternative low-carbon.

Bruxelles vuole arrivare a produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile (o “verde”) sul territorio comunitario entro il 2030, sostenendo questo sforzo con una apposita “banca” da 3 miliardi di euro. Ad oggi l’idrogeno viene generato quasi esclusivamente da fonti fossili. La questione del passaggio al più costoso green non è soltanto economica e industriale, ma anche politica: la manifattura di elettrolizzatori alcalini, i macchinari necessari alla produzione di idrogeno dall’elettricità rinnovabile, si concentra infatti in Cina, da cui l’Europa rischia di diventare dipendente se non svilupperà delle filiere proprie.

L’Unione europea, però, risulta prima al mondo – con una quota del 28 per cento – nella registrazione di brevetti di tecnologie per l’idrogeno dal 2011 al 2020; seguono, nello stesso periodo di tempo, il Giappone con il 24 per cento e gli Stati Uniti con il 20. I dati provengono da uno studio dell’Agenzia internazionale dell’energia e dell’Ufficio europeo dei brevetti (EPO) pubblicato pochi giorni fa, intitolato Hydrogen patents for a clean energy future. Dove viene tuttavia fatto notare come l’innovazione si focalizza principalmente sul settore automobilistico e ancora poco sulle altre possibilità di utilizzo dell’idrogeno, ad esempio per la generazione energetica, per il riscaldamento o per la produzione di acciaio.

Il contributo del nostro paese alla quota di brevetti europei è numericamente inferiore a quello della Germania (che vale l’11 per cento del totale globale) e della Francia (il 6 per cento). Ma nel rapporto viene citata un’importante azienda chimica italiana, De Nora, che realizza elettrodi alcalini per gli elettrolizzatori e che, per quantità di brevetti depositati in questo segmento, è preceduta solo dalla giapponese Asahi Kasei. Danieli, società bresciana di impianti siderurgici, figura invece tra i massimi fornitori di soluzioni a base di idrogeno.

Ma a spingere l’innovazione non sono solamente le imprese grandi e strutturate. L’EPO sottolinea il ruolo delle startup, che in Italia sono molte e orientate verso le tecnologie pulite.

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Written by Marco Dell'Aguzzo

Giornalista: mi occupo di energia e di tecnologie per la transizione ecologica. Mi trovate su Wired, Linkiesta e Startmag.

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