India e Cina: rivoluzione (e competizione) solare

Marco Dell'Aguzzo
2 min readNov 15, 2021
Due operai al lavoro in un parco solare in India.
(Reuters)

Mukesh Ambani è il decimo uomo più ricco al mondo e primo nella classifica dei miliardari d’Asia. Il suo patrimonio è legato alle fortune di Reliance Industries, il conglomerato indiano famoso soprattutto per la petrolchimica: gas e greggio, quindi. Ma anche Reliance, come quasi tutti i grandi nomi del settore degli idrocarburi, ha sposato la transizione energetica e annunciato di voler arrivare all’azzeramento netto delle sue emissioni di carbonio entro il 2035. Le frasi parlano da sé, non serve aggiungere molto altro: è evidente che dietro ai progetti climatici delle grandi industrie e dei grandi paperoni non ci sia soltanto la volontà di partecipare al “salvataggio della Terra”, ma soprattutto quella di riaffermare la propria presenza economica in un mondo che cambia. E che, nel corso di questo cambiamento, brucerà sempre meno combustibili fossili e utilizzerà sempre più fonti rinnovabili. Siamo noi a dare un abito politico all’energia. Ma nella mente di un imprenditore che pensa a vendere, al netto della profittabilità, un barile di petrolio non è troppo diverso da un pannello solare.

Il 10 ottobre Reliance ha fatto sapere di aver acquistato, dalla compagnia chimica cinese Bluestar, un’azienda norvegese che realizza pannelli solari al prezzo di 771 milioni di dollari. Un paio di giorni dopo, con 28 milioni ha acquisito le tecnologie di una società tedesca che produce wafer (semiconduttori) per le celle fotovoltaiche. Entro tre anni – questi sono i piani – Reliance avrà investito 10,1 miliardi in energie pulite; al 2030 disporrà di una capacità solare di almeno 100 gigawatt, pari all’intero installato rinnovabile dell’India oggi.

Il governo di Nuova Delhi vuole che, per la fine del decennio, le rinnovabili tutte arrivino a 450 GW. Il potenziale solare, in particolare, è alto, ma attualmente da questa fonte si genera solo il 4 per cento dell’elettricità utilizzata sul territorio nazionale. La quota del carbone, di contro, è enorme, superiore al 70 per cento. Non sarà così per sempre, però. A dirlo non è un giovane attivista dei Fridays for Future ma il presidente della compagnia mineraria statale Coal India, quella che in assoluto estrae più carbone al mondo. È un settore che andrà a rimpicciolirsi nel giro di venti-trent’anni, afferma Pramod Agrawal, per fare spazio al solare: Coal India pensa appunto di entrare nel business dei wafer per il fotovoltaico, facendo leva sul fatto che dalle fabbriche indiane escono sì celle e moduli, ma non questi semiconduttori essenziali.

La competizione è appena iniziata.

L’articolo completo è stato pubblicato sull’ottavo e-book (novembre 2021) di “China Files”, dedicato alla transizione energetica. Si può ricevere qui.

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Written by Marco Dell'Aguzzo

Giornalista: mi occupo di energia e di tecnologie per la transizione ecologica. Mi trovate su Wired, Linkiesta e Startmag.

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