Ossigeno dalle rocce e metalli dalle alghe: il mare è l’incognita della transizione verde

Marco Dell'Aguzzo
2 min readOct 16, 2024
(The Metals Company)

Da gennaio l’International Seabed Authority avrà una nuova segretaria generale, la brasiliana Leticia Carvalho, eletta in estate. Sarà la prima scienziata e la prima donna a guidare l’organizzazione, legata alle Nazioni Unite ma piccola e poco nota – ha sede in Giamaica –, la cui importanza è però destinata a crescere molto perché tra le sue funzioni c’è l’assegnazione di concessioni minerarie nei fondali marini.

La transizione energetica ha bisogno di enormi quantità di metalli: di rame per i cavi elettrici, ad esempio; di terre rare per le turbine eoliche; di nichel, manganese e cobalto per le batterie. Alcune porzioni di acque internazionali dovrebbero contenerne in abbondanza di questi elementi preziosi, adagiati sui fondali all’interno di grumi rocciosi dalle dimensioni di patate: in gergo si chiamano noduli polimetallici. Attorno alla possibilità di inviare dei robot nelle profondità degli abissi, raccogliere i noduli, farli aspirare in superficie e lavorarli per ottenere i materiali desiderati si sta sviluppando un’industria dalle grandi promesse ma dalla convenienza – economica e ambientale – ancora incerta.

Formalmente, i fondali internazionali sono «patrimonio comune di tutta l’umanità»: così recita la Convenzione sul diritto del mare. Tuttavia, l’International Seabed Authority ha già emesso una trentina di licenze esplorative ed entro luglio 2025 dovrebbe ultimare la stesura di un regolamento che disciplini le attività minerarie sottomarine. A fare pressione non sono soltanto le aziende e alcuni dei paesi membri più grandi, come la Cina e il Giappone, ma anche una piccola nazione del Pacifico, Nauru, che vede nel deep-sea mining un’opportunità di crescita e ha già steso un contratto con una società canadese, The Metals Company, pronta a dare il via alle operazioni già nel 2026.

A differenza del suo predecessore, vicino agli interessi industriali, Leticia Carvalho ha detto che la data-termine di luglio verrà probabilmente sforata e che saranno necessari anni di negoziati prima di arrivare a definire delle regole. Il fatto è che conosciamo pochissimo degli ecosistemi marini profondi e quindi è difficile valutare le conseguenze dell’interferenza umana. L’estrazione mineraria implica sempre un trade-off tra accesso alle risorse e tutela dell’ambiente: chi appoggia il deep-sea mining dice però che nei fondali la diversità biologica è inferiore rispetto alla terraferma e che la concentrazione di metalli nei noduli è maggiore rispetto ai depositi terrestri, quindi la loro lavorazione richiede meno energia; chi è contrario sottolinea invece che negli abissi oscuri c’è vita e non dovremmo rischiare di comprometterla almeno fino a quando non l’avremo compresa meglio.

Una recente scoperta scientifica pare supportare le ragioni dei secondi.

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Written by Marco Dell'Aguzzo

Giornalista: mi occupo di energia e di tecnologie per la transizione ecologica. Mi trovate su Wired, Linkiesta e Startmag.

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