Alimentare il mondo con un parco solare nel Sahara non è una buona idea

Basterebbe ricoprire di pannelli solari poco più dell’1 per cento della superficie del deserto del Sahara per soddisfare l’intera domanda globale di energia elettrica. Il «calcolo teorico» presentato al suo milione di follower su Twitter da @Rainmaker1973, profilo dedicato alle curiosità scientifiche, ha entusiasmato Elon Musk, che l’ha ripreso e commentato: «La quantità di energia solare ricevuta dalla Terra potrebbe alimentare una civiltà oltre 100 volte più grande della nostra!».
L’idea di trasformare una (relativamente) piccola parte del Sahara, il più vasto deserto caldo del pianeta, in un gigantesco parco solare al servizio dell’umanità non è nuova. Al contrario, ritorna ciclicamente da molti anni: lo stesso @Rainmaker1973 ne aveva già scritto a fine dicembre 2022, e pure in quel caso Musk era intervenuto («Una mossa così ovvia!»); il tweet pubblicato il 16 febbraio contiene due link che rimandano ad articoli del 2016 e del 2017.
Il buonsenso insegna però che se una cosa sembra troppo bella per essere vera, probabilmente non lo è. Se per risolvere contemporaneamente il problema energetico e la crisi climatica fosse sufficiente installare lunghe fila di pannelli in un quadratino assolato del Nordafrica, simple as that, lo avremmo già fatto. Alla base della fissazione di Musk per questa opzione c’è forse un interesse personale – Tesla non fa solo auto elettriche, ma anche dispositivi fotovoltaici e sistemi di stoccaggio –, o magari una genuina passione per tutto ciò che appare irrealizzabile. Ma c’è una grossa distanza tra la possibilità teorica e la fattibilità pratica, e la seconda non è meno importante della prima.
Un articolo pubblicato lo scorso dicembre sul sito del CORDIS, il Servizio comunitario di informazione in materia di ricerca e sviluppo della Commissione europea, giudica l’ipotesi di un mega-progetto solare nel Sahara con cognizione di causa e senza cadere in facili entusiasmi. Khamid Mahkamov, professore di ingegneria meccanica ed edile presso l’Università di Northumbria, spiega che è effettivamente possibile, in teoria, soddisfare una grossa fetta della domanda elettrica europea attraverso un maxi-impianto nel deserto africano. A patto che si riescano a risolvere «tutte le difficoltà ingegneristiche, ambientali e politiche» connesse.
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