Gli Stati Uniti hanno bisogno del Nordamerica per vincere la competizione con la Cina

A metà gennaio l’azienda mineraria anglo-australiana Rio Tinto ha annunciato un investimento di 6 milioni di dollari in un impianto per la produzione di ossido di scandio, un elemento del gruppo delle terre rare, nella provincia canadese del Québec. Più che sul valore economico del progetto, le dichiarazioni delle parti coinvolte – alle spese ha partecipato anche il governo locale – si sono concentrate sulla sua rilevanza strategica. Da Rio Tinto si sono infatti detti «orgogliosi di offrire la prima fornitura affidabile di ossido di scandio del Nordamerica». Il ministro dell’Energia del Québec ha parlato di uno stabilimento che «ha il potenziale per diventare un importante fornitore di scandio al di fuori della Cina».
Attorno alle terre rare come lo scandio si è sviluppata una grande questione geopolitica legata al fatto che l’80 per cento circa della loro offerta mondiale è controllata da un solo paese: la Cina, appunto. A preoccupare praticamente tutte le economie avanzate non è però il quasi-monopolio cinese in sé, quanto i rischi per la sicurezza nazionale connessi a questa dipendenza. Parlare di terre rare non equivale a parlare di giocattoli o di prodotti tessili (Pechino domina le esportazioni di entrambi): i diciassette metalli racchiusi nel termine vengono utilizzati in tutta una serie di settori strategici come la difesa, l’alta tecnologia e l’energia. E proprio la transizione verso sistemi energetici più “puliti” causerà un aumento della richiesta di terre rare, necessarie alla produzione di turbine eoliche, veicoli elettrici e celle a combustibile. L’Unione europea, che vuole azzerare le proprie emissioni nette entro il 2050, stima che per quella data la sua domanda di terre rare potrebbe aumentare di dieci volte. Attualmente viene soddisfatta per il 98 per cento dalla Cina. Ma come farà Bruxelles a raggiungere gli obiettivi climatici, e a garantire la disponibilità di materie prime per le industrie, se Pechino dovesse un giorno sospendere le esportazioni?
Dall’altro lato dell’oceano Atlantico, gli Stati Uniti di Joe Biden hanno target di decarbonizzazione simili e timori di vulnerabilità maggiori. Il 24 febbraio – un mese e dieci giorni dopo l’annuncio di Rio Tinto in Canada – il presidente ha firmato un ordine esecutivo per la resilienza delle catene di approvvigionamento legate ai prodotti fondamentali per l’economia e la sicurezza americana: nel testo si parla di dispositivi di protezione individuale, di semiconduttori, di batterie per le auto elettriche e di «minerali critici», incluse le terre rare.
L’obiettivo dell’amministrazione Biden è diminuire la dipendenza degli Stati Uniti da quei fornitori esteri potenzialmente ostili – innanzitutto la Cina – che potrebbero impugnare la loro dominanza su certe filiere come un’arma geopolitica e bloccare le esportazioni per colpire i paesi rivali. In termini generali, la precedente amministrazione di Donald Trump voleva la stessa cosa: rafforzare le catene del valore più critiche, ridurre l’esposizione al pericolo di azioni cinesi, riportare la produzione manifatturiera a casa. In America il discorso sul reshoring è in realtà vecchio di anni ma l’attuazione del fenomeno, al di là dei desideri politici, è stata finora limitata.