
Qualche ora fa Joe Biden ha invocato una legge dell’epoca della Guerra fredda per stimolare la produzione, direttamente negli Stati Uniti, dei cosiddetti “minerali critici”. Sono le materie prime della transizione ecologica, indispensabili per le auto elettriche e per le batterie che immagazzinano l’elettricità rinnovabile: rame, litio, nichel, grafite, cobalto. Il Defense Production Act del 1950 porta la firma di Harry Truman e servì, al tempo, a mobilitare il settore siderurgico americano durante la guerra di Corea. La necessità di Biden è un’altra: impedire alla Cina di vincere la rivoluzione industriale della sostenibilità ed evitare che l’America si ritrovi a dipendere dalla rivale per il rifornimento dei metalli di base (Pechino già ne domina le filiere). Per Washington la questione non è solo economica, quanto soprattutto di sicurezza nazionale. La legge permetterà allora al presidente di ricorrere a poteri straordinari per finanziare l’espansione della capacità produttiva dei critical minerals e gli studi di fattibilità dei progetti; le aziende, invece, potranno avere accesso facilitato a un fondo da 750 milioni di dollari.
Sulla carta, gli Stati Uniti hanno le risorse per essere una superpotenza mineraria: il Nevada nasconde grossi depositi di litio; California e Texas hanno le terre rare e l’Arizona il rame; in Idaho c’è la “cintura del cobalto”. La loro estrazione dal sottosuolo rischia però di causare un dissidio tra clima e ambiente: dei metalli critici c’è bisogno altrimenti – almeno finché non si affermeranno i processi di riciclo – non si potranno costruire i veicoli e gli impianti per l’azzeramento delle emissioni; ma l’apertura di nuove miniere porta con sé un impatto ambientale.
L’articolo completo è stato pubblicato su “il manifesto” del 1 aprile 2022 con il titolo “Crisi delle risorse: Biden sente il richiamo della potenza mineraria”.