Agli Stati Uniti manca la sabbia per estrarre il petrolio

A metà luglio Joe Biden è partito per il Medioriente con l’obiettivo (anche) di ottenere dall’Arabia Saudita un impegno ad aumentare la produzione di petrolio. Un numero maggiore di barili sul mercato favorirebbe infatti l’abbassamento dei prezzi internazionali dell’energia, e di conseguenza andrebbe a ridurre il tasso di inflazione negli Stati Uniti. Ma i sauditi non hanno accolto la richiesta del presidente americano; se anche avessero voluto, comunque, gli esperti pensano che non avrebbero potuto pompare tanto di più rispetto a quanto fanno già.
Il primo produttore di petrolio al mondo non è l’Arabia Saudita, però: sono gli Stati Uniti. Il greggio di cui ha bisogno Biden ce l’avrebbe in casa, ma non può fare affidamento sulle società domestiche per portarlo in superficie. Piuttosto che farsi prendere dalla frenesia estrattiva e aprire nuovi pozzi, molte di queste preferiscono accontentare gli azionisti e concentrarsi sul rigore di bilancio: meno spese e dividendi migliori.
In realtà, nel bacino Permiano – un ricco campo petrolifero tra il Texas e il Nuovo Messico – ci sono delle imprese che vorrebbero trivellare per cavalcare la fase di prezzi alti, ma non possono farlo: gli manca la sabbia, necessaria al processo di fratturazione (fracking) delle rocce di scisto che intrappolano gli idrocarburi.
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