All’Europa serve una politica industriale per la transizione verde

La batteria che alimenta l’auto elettrica è il simbolo per eccellenza della rivoluzione industriale innescata dalla transizione ecologica, un percorso che non si limiterà a modificare la composizione dei mix energetici ma andrà a sconvolgere interi settori e filiere, obbligando a ripensare i processi produttivi e i modelli di organizzazione del lavoro. Se le industrie del futuro saranno quelle della sostenibilità, allora la capacità di controllarne i materiali di base (i cosiddetti “metalli critici”) e le tecnologie diventa fondamentale per garantire la competitività economica e la rilevanza politica di una nazione. Non a caso, la transizione verde è al primo posto nella lista delle priorità strategiche della Commissione europea.
Proprio sulle batterie, però, indispensabili per i veicoli elettrici e per lo stoccaggio dell’energia rinnovabile intermittente, l’Europa è in una situazione di dipendenza tecnologica dalla Cina. Stando ai calcoli di BloombergNEF, Pechino racchiude nelle sue mani il 75 per cento della capacità manifatturiera globale di celle di batterie agli ioni di litio (la tipologia dominante a livello commerciale) e il 90 per cento della produzione di anodi (gli elettrodi negativi) e di elettroliti (le sostanze liquide che permettono il passaggio della corrente elettrica nei dispositivi). Uno studio di SNE Research aggiunge che due sole società cinesi, CATL e BYD, possiedono insieme una quota superiore al 50 per cento del mercato mondiale delle batterie. La Cina, inoltre, vale più della metà della capacità di raffinazione globale di litio, cobalto e grafite.
Ma c’è ancora una speranza, per il Vecchio continente. Secondo una nuova analisi di Transport & Environment (T&E), l’Unione europea saprà ridurre drasticamente la sua dipendenza dalla Cina per le batterie agli ioni di litio entro il 2027.
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