L’agrivoltaico fa bene all’agricoltura?

A fine maggio la società energetica francese ENGIE ha inaugurato il più grande parco agrivoltaico d’Italia: si trova vicino Trapani e possiede una capacità di 66 megawatt. La maggior parte dell’energia prodotta verrà destinata ad Amazon, che si è impegnata ad alimentare con fonti rinnovabili tutte le sue operazioni italiane entro il 2025; il resto sarà immesso nella rete elettrica. Le due aziende si sono già messe d’accordo per un secondo impianto agrivoltaico in Sicilia, da 38 MW, la cui apertura è prevista entro quest’anno.
L’agrivoltaico è una tecnologia relativamente nuova e molto interessante. L’installazione di pannelli solari sulle terre agricole permette infatti di ridurre il consumo di suolo – uno dei principali argomenti a sfavore delle fonti rinnovabili –, sfruttando la stessa area sia per la generazione energetica che per la coltivazione, integrando anziché escludendo le due attività. L’impianto nel trapanese è formato da pannelli posizionati in alto rispetto al terreno, mentre quest’ultimo è occupato da viti, ulivi, mandorli, asparagi e piante aromatiche. I pannelli sono peraltro bifacciali, in grado cioè di catturare sia la luce diretta che quella riflessa dalla superficie, per un’efficienza complessiva ancora maggiore.
Secondo uno studio dell’Università di Hohenheim, in Germania, l’agrivoltaico non è soltanto una soluzione conveniente per l’ottimizzazione degli spazi, ma è pure benefica per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Le siccità e le ondate di calore, che il riscaldamento globale contribuisce a rendere più frequenti ed estese, sono un grosso problema per gli agricoltori, perché la carenza d’acqua impedisce la corretta irrigazione dei campi e il calore estremo compromette la crescita e la produzione delle piante. L’ombra proiettata sui terreni dai pannelli fotovoltaici, invece, può aumentare le rese nei periodi di scarse o nulle precipitazioni.
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