Le batterie di calore e l’innovazione noiosa

Una delle sfide più grandi della transizione energetica è la decarbonizzazione delle industrie pesanti, che ci forniscono prodotti essenziali come l’acciaio, il calcestruzzo e i fertilizzanti ma rilasciano enormi quantità di gas serra nell’atmosfera. La siderurgia vale il 7-9 per cento delle emissioni antropogeniche globali di CO2, ad esempio, e il comparto cementiero circa l’8 per cento. Questi processi hanno bisogno di tanto calore per funzionare, generalmente intorno ai 1400 gradi Celsius, ma le fonti rinnovabili non sono in grado di fornirglielo con la costanza necessaria (anche ventiquattr’ore di seguito).
Le industrie pesanti, insomma, ad oggi non possono fare a meno dei combustibili fossili; e benché ci siano delle tecnologie pulite in fase di sviluppo – utilizzano l’idrogeno verde e la cattura del carbonio –, non sono ancora abbastanza mature da essere applicate su larga scala. Non è un caso che questi settori vengano definiti hard-to-abate, perché un modo semplice ed economico per abbatterne le emissioni non c’è.
Non esistono soluzioni facili a problemi complessi, però Rondo Energy, una startup della California, pensa di aver inventato una tecnologia «di una semplicità imbarazzante». Si tratta di una batteria di calore, un macchinario che riceve l’elettricità generata dagli impianti rinnovabili e la converte in calore; il calore riscalda poi una struttura di mattoni refrattari a una temperatura di circa 1500 °C e si conserva al loro interno per ore o giorni, pronto all’uso nelle fabbriche. Visto da fuori, il dispositivo ha l’aspetto di un container in acciaio coibentato.
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