I dazi sulle auto elettriche cinesi e l’equilibrio clima-industria

La decisione dell’Unione europea di applicare nuovi dazi sulle automobili elettriche importate dalla Cina racconta la difficoltà di bilanciare gli obiettivi climatici con le necessità economiche. Se da un lato, infatti, Bruxelles vuole incoraggiare una rapida decarbonizzazione dei trasporti – che valgono circa un quarto delle emissioni totali di gas serra del blocco – tanto da vietare l’immatricolazione dei veicoli con motore termico dal 2035, dall’altro non può permettersi – per ragioni di competitività e di occupazione – di restare senza una base industriale forte nei settori cruciali per la transizione ecologica.
Il problema è che Pechino è avanti in tutti quei settori, non solo nell’automotive: ammesso e non concesso che l’aumento delle tariffe basterà ad arginare le vetture cinesi, insomma, l’Europa rimane indietro nella produzione di batterie al litio, di pannelli solari e forse anche di turbine eoliche, senza dimenticare le materie prime e i componenti intermedi per il comparto green. Non a caso, il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire – Parigi è stata la principale promotrice dei dazi – ha detto che l’Unione europea non deve fermarsi alle auto elettriche ma adottare delle misure di contenimento della sovraccapacità cinese anche in altri campi, a cominciare dal fotovoltaico.
È la prima volta, comunque, che l’Unione europea interviene in modo così netto a salvaguardia di un’industria chiave. Le tariffe, ancora provvisorie, vanno dal 17,4 al 38,1 per cento, in aggiunta all’aliquota standard del 10 per cento. La Commissione sembra voler evitare che i costruttori europei di auto facciano la fine di quelli di pannelli solari (tra il 2013 e il 2018 vennero prima imposti e poi rimossi – su pressione della Germania – dazi sui dispositivi cinesi, preferendo dare priorità alle installazioni di capacità rinnovabile anziché alla manifattura). Oggi però sono altri tempi: non solo è iniziata a maturare una consapevolezza industriale, ma è cambiato proprio il modo in cui l’Europa si rapporta alla Cina, considerata «contemporaneamente una partner, una concorrente economica e una rivale sistemica. E le ultime due dimensioni stanno sempre più convergendo».
I dazi dovrebbero difendere le case automobilistiche del continente dalla concorrenza cinese, ritenuta sleale perché pesantemente sussidiata, ma potrebbero non bastare a risolvere lo squilibrio con Pechino.
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