La battaglia geopolitica per le miniere sottomarine

Il 5 dicembre il governo e il parlamento della Norvegia hanno trovato un accordo per autorizzare l’esplorazione dei fondali artici alla ricerca di metalli per la transizione energetica: cobalto per le batterie, terre rare per le turbine eoliche, rame per i cavi elettrici. Le attività si svolgeranno in un’area grande quasi quanto l’Italia situata tra il mare di Barents e il mare di Groenlandia, vicino alle isole Svalbard, che dovrebbe ospitare ricchi depositi.
La Norvegia vuole essere la prima nazione del pianeta a estrarre minerali dai fondali su scala commerciale, e garantisce di farlo in modo «responsabile e sostenibile». La sostenibilità promessa non vuole essere solo ambientale, ossia di attenzione all’ecosistema, ma anche politica: Oslo pensa – e non è l’unica a farlo – che il seabed mining permetterà all’Occidente di ridurre la dipendenza dalla Cina, che oggi domina le filiere di pressoché tutte le materie prime per l’industria verde.
Ma ci sono dei dubbi. Innanzitutto, il piano norvegese piace al comparto oil & gas, che ci vede un’occasione di riconversione. Non piace però al settore peschiero, che teme ripercussioni sull’abbondanza ittica delle acque del nord; e non piace nemmeno agli ambientalisti, preoccupati per l’impatto non ancora chiaro. C’è infatti chi sostiene che l’estrazione mineraria sottomarina sia meno “distruttiva” di quella sulla terraferma perché nei fondali la vita è scarsa (rispetto, poniamo, alla ricchezza di una foresta indonesiana contenente nichel). D’altro lato, c’è chi ricorda che sappiamo poco del fondo del mare e quindi non possiamo giudicare correttamente i danni alla biodiversità.
Oltre a riproporre l’antico dissidio tra natura e sviluppo – per abbattere le emissioni avremo bisogno delle miniere –, la proposta norvegese di seabed mining rischia di riaprire questioni geopolitiche mai risolte: Oslo sostiene di avere i diritti esclusivi di sfruttamento delle acque intorno alle Svalbard, ma l’Unione europea, il Regno Unito e la Russia non sono d’accordo.
Lontano dal Vecchio continente la situazione di conflittualità è grossomodo la stessa. Per l’estrazione dai fondali si sta combattendo nel mondo una battaglia normativa e diplomatica che ha nell’ISA (l’International Seabed Authority, un ente affiliato alle Nazioni Unite con sede in Giamaica) il suo teatro principale.
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